Il Patrimonio Artistico

Pagina dedicata al Patrimonio Artistico del Comune di Levanto

I RESTI DEL PORTO MEDIOEVALE

L’esistenza di un antico approdo naturale nel lato orientale dell’insenatura di Levanto è ormai accettata da tutti gli studiosi che si sono dedicati all’argomento. Probabilmente nel XVIII secolo Genova trasformò questo approdo, tanto da essere un tempo navigabile per navi di piccolo cabotaggio, come erano quelle medievali, ma anche per diversi tipi di imbarcazioni d’età moderna. A partire probabilmente dalla fine del Cinquecento il torrente Ghiararo creò una parte della piana di Levanto, intasando la foce del piccolo rio Cantarana, e interrando il porto canale del borgo.
Antiche carte nautiche, portolani, numerose norme degli Statuti di Levanto e cospicui resti di edifici del Borgo Antico archeologicamente datati tra il XVIII ed il XVI secolo, dimostrano palesemente che l’infrastruttura portuale di Levanto ebbe un ruolo di primo piano nell’economia locale. Infatti, era uno dei pochi scali sicuri della Riviera di Levante e rappresentava, assieme a quello di Sestri Levante, l’unico approdo collegato ad una rete viaria mulattiera che portava direttamente nell’Emilia occidentale, tramite i valichi di Cento Croci, dei Due Santi, o della Cisa via Pomtremoli. Considerato il minor costo dei trasporti marittimi, allora era più conveniente, per andare da Genova a Parma e Piacenza, trasportare le merci via mare fino a Levanto e compiere a dorso di mulo la traversata appenninica nel tratto in cui il percorso terrestre era più breve.

Le mulattiere che partivano dal porto levantese convergevano nella maggior parte dei casi in prossimità del Monte Bardellone, da cui si vedono sia il mare, sia la Val di Vara. Questo monte si stacca dal lungo crinale lungo il quale si snodava la mulattiera che dal Bracco andava a La Spezia, seguendo il tracciato detto la Via dei Santuari. Nei pressi del Bardellone quest’ultima si incrociava con la via che da Levanto portava a Parma, transitando per Cassana, Brugnato, Rocchetta, Suvero, Zeri, Mulazzo, Pieve di Saliceto e Pontremoli.
I cambiamenti indotti dal porto sull’attività mercantile e quindi sull’economia di Levanto a partire dal XVIII secolo, sono dimostrati, oltre che da manufatti notevoli (come la parrocchiale di Sant’Andrea e le mura), sia dalla quantità di resti architettonici e dei magazzini e delle abitazioni con magazzino, sia dalla qualità costruttiva degli edifici, realizzati in pietra locale adeguatamente lavorata e rifinita. Caratteristiche altrimenti rilevabili, nel secolo anzidetto, solo nelle città, se si escludono chiese e castelli.
Alla fine del XIII secolo ed al XIV risalgono pure le tracce archeologiche più antiche trovate in alcune ville della valle. iò potrebbe significare che lo sviluppo del porto medioevale di Levanto non ha inciso economicamente e socialmente soltanto sul borgo, ma ha avuto serie ripercussioni sull’intero territorio levantese.
Le principali strutture (magazzini e case di abitazioni mercantili con magazzino al piano terreno) asservite al porto medievale di Levanto, sono oggi prevalentemente costituite da volte, portali e brani murari, quasi tutti in pietra verde scura locale (peridotite), archeologicamente databili tra il XVIII ed il XVI secolo. Tra quelle ubicate ad oriente dell’attuale percorso del Cantarana, si ricordano: la darsena, i portali esistenti in Via Della Compera, in Vicolo Santa Croce (i più antichi rinvenuti sinora a Levanto), in Vicolo Bego, in Via dell’Arenetta, in Vico Buonvicino, in Vico Monichetta ed in Via Porta Nuova (o Vico Dietro La Parrocchia).
La darsena, in particolare, così chiamata da tempo immemore, è costituita da una serie di doppie archeggiature costruite su un lato di due antichi carruggi (oggi Via Finollo e Via Molinelli), per una lunghezza di oltre 50 metri.
La muratura esistente tra le archeggiature è quasi tutta coeva con queste ultime (XIV-XV sec.), mentre quella interna è posteriore.

LA CHIESA DI SAN ROCCO

La fabbrica, ad aula rettangolare d’altezza accentuata rispetto alle altre dimensioni, è molto semplice.
Il presbiterio, lievemente sopraelevato, è diviso dal coro da una parete alle estremità della quale si trovano due grate dalle quali le suore di clausura assistevano alle funzioni senza poter essere viste dagli altri fedeli. Sulla parete di fondo del presbiterio grande trompe-l’oeil con colonne e angeli, che originariamente faceva da sfondo all’altare maggiore, poi trasferito nella parrocchiale di Sant’Andrea, ove si trova tutt’oggi.
In alto, sulle pareti laterali, quattro grandi tele settecentesche lobate superiormente e inferiormente, da cm. 250x130, in cui sono rappresentati i quattro evangelisti con i relativi simboli.
Nella parte iniziale della parete destra, grande Crocifisso ligneo processionale (XVIII secolo) e, subito appresso altare marmoreo policrono con una nicchia entro la quale si trova la statua lignea dipinta di San Rocco, di scuola genovese del Settecento.
Un’immagine di San Rocco è collocata in alto sulla parete di fondo del presbiterio. Si tratta di una tela ottocentesca, da cm. 200x150, in cui Rocco campeggia alle pendici di una collina che richiama per certi aspetti quella di Ridarolo.
In basso un piccolo tempio, che potrebbe rappresentare l’antico sacro edificio di San Rocco del Piano, distrutto nel corso dell’Ottocento.
A sinistra dell’altare maggiore, un pregevole organo meccanico con la cassa lignea dipinta e abbellita da un intaglio a forma di lira.
Restando nella zona presbiterale, a destra un bel Crocifisso in cartapesta dipinta, di scuola napoletana o genovese dell’inizio del Settecento. Sul fianco sinistro, altro altare marmoreo policromo di buona fattura. Nella nicchia posta sopra di esso, piccola statua in marmo bianco raffigurante la Madonna con il Bambino.

LA LOGGIA COMUNALE

In Liguria, è uno dei pochissimi edifici d’epoca tardo medioevale di questo tipo sopravvissuto fino ai giorni nostri.
Rialzata di circa un metro rispetto alla piazza antistante, è ad un piano, a sezione di trapezio rettangolare (metri 17.5 x 10). Nell’interno si trova un piccolo locale che originariamente era adibito ad archivio comunale. Il prospetto principale (orientato verso sud-ovest) è rivolto su Piazza del Popolo ed è costituito da cinque arcate in laterizi ad arco ribassato.
Le arcate poggiano su quattro colonne e due pilastri d’estremità, tutti in peridotite. Entrambe le pareti laterali presentano un’apertura con arco a tutto sesto in mattoni, contigua a quella del prospetto che dà sulla piazza.
La parete verso via Paraxo ha tre piccole finestre (la più bassa chiusa da un’inferriata), quella verso Salita San Giacomo presenta i resti di un rosone dipinto in arancione su campo giallo, mentre la terza è completamente chiusa. Internamente, in alto sulla parete maggiore dell’ex archivio, si tova un affresco attribuito alla metà del Quattrocento in cui è rappresentata l’Annunciazione. Sulle altre due pareti interne sono murate quattro lapidi.
Due marmoree, affiancate sulla parete nord e le altre su quella est, una ad altezza inferiore, d’ardesia in pratica illeggibile, e l’altra soprastante di marmo con quattro stemmi (recto e verso), due del Comune di Levanto ed altrettanti della Repubblica di Genova.
Il tetto, completamente di restauro, è a due spioventi ricoperti in ardesia e poggia su chiavi metalliche, occultate da una struttura lignea a capriate in pitch-pine.
La pavimentazione, ad opus incertum, è realizzata in pietra locale di varia natura.

LA PARROCCHIALE DI SANT'ANDREA

Raramente gli edifici antichi sono giunti sino a noi nella versione originale, anche la parrocchiale del borgo non è purtroppo sfuggita a questa sorte.
La costruzione ebbe inizio a partire dal 1222. Nel 1230 doveva già essere, anche se parzialmente, ultimata perché ospitò gli uomini di Levanto che promisero davanti ad un notaio, di rispettare i patti stipulati e giurati con i signori Da Passano l’anno prima. Verso la fine del duecento probabilmente la chiesa medioevale a tre navate era finita.
Il 20 maggio 1463 fu consacrata solennemente, come ricordato da una lapide marmorea murata sul secondo pilastro a destra entrando. Successivamente la fabbrica fu ampliata alle attuali cinque campate, con lo sfondamento delle due fiancate laterali, intervento con il quale ne fu irrimediabilmente compromesso lo stile originale.
Tra la fine dell’Ottocento ed i primi due decenni del Novecento la facciata e l’interno furono restaurati sotto la direzione di Alfredo D’Andrade, il quale cercò di riportare il tempio a quella che riteneva fosse la sua immagine medievale.
La facciata, preceduta da un ampio piazzale ottocentesco, è certamente uno degli elementi architettonici più pregevoli del sacro edificio. Semplice ed elegante allo stesso tempo, è caratterizzata da fasce orizzontali bianche e scure alternate, rispettivamente in marmo bianco di Carrara ed in pietra verde locale.
All'interno, le cinque navate sono divise da colonne e pilastri. I capitelli delle colonne sono di restauro, mentre quelli dei pilastri sono in parte originale. Nella profonda abside, illuminata da due grandi monofore, è installato un bel coro ligneo del 1589, intagliato e scolpito, restaurato nel 1706. Entrando nel tempio, subito sulla destra, si trova una lastra in marmo bianco scolpita a rilievo, raffigurante il vescovo Bartolomeo Pammoleo, attribuita allo scultore genovese Michele d’Aria. Subito dopo si trova una tela dipinta (cm. 160x100) in cui è rappresentato il Martiro di San Sebastiano, contornata da un’elegante cornice marmorea cinquecentesca.
L’altare maggiore e il pulpito, entrambi in marmo del XVIII secolo, sono di scuola genovese.
Nella navata laterale sinistra si trovano altre opere di indubbio pregio artistico, come il Crocifisso ligneo dipinto del XV secolo, di provenienza ignota, oggetto di particolare venerazione da parte dei Levanti, forse anche perché legato alla tradizione popolare secondo la quale sarebbe stato trovato, dopo una mareggiata, nella parte occidentale della spiaggia di Levanto, che da allora si chiama Vallesanta.
Il patrimonio orafo custodito in Sant’Andrea annovera due oggetti liturgici d’estremo interesse: il calice detto di Enrico VIII, un vero e proprio chef-d’ouvre d’oreficeria parigina, ed un ostensorio d’argenteria lombarda, entrambi del primo Cinquecento. Il calice, di dimensioni e peso imponenti, è in argento fuso, sbalzato, cesellato e dorato. Secondo la tradizione orale fu vinto in una partita a scacchi dall’insigne levantese Giovanni Da Passano ad Enrico VIII d’Inghilterra. In effetti il calice è stato realizzato, come ha scoperto Donata Devoti, da un argentiere parigino, e dopo l’attribuzione di questa studiosa è stato esposto a Parigi ad una mostra internazionale sull’oreficeria francese del Rinascimento.
L’ostensorio, in argento fuso, sbalzato, cesellato e dorato, con smalti traslucidi e paste vitree, è a teca cilindrica in vetro che racchiude la lunetta portaostia. Un’opera quindi di prestigio, eseguita da una artista di scuola lombarda nella fase di passaggio tra tardo gotico e rinascimento.

L'EX CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI

Un’antica tradizione, priva per ora di riscontri oggettivi, assegna ai Monaci Cassinesi l’edificazione del primo convento. Stando alla medesima tradizione, ripresa da Don Rocco Cinollo in un manoscritto del 1924, i Cassinesi avrebbero lasciato Levanto prima del secolo XV forse per deficienza di soggetti.
Verso la fine del’500 gli eremiti agostiniani di Punta Mesco si trasferirono nella zona della Porta dell’Acqua, all’interno del borgo, ove acquistarono (o venne loro alienata dalla Municipalità o da qualche benefattore), un apprezzamento di terreno con due case dirotte per costruirvi un convento ed una chiesa.
Il complesso venne ultimato a metà Seicento e, all’inizio dell’Ottocento, ai tempi delle soppressioni napoleoniche, fu alienato al Comune di Levanto che trasformò il primo piano in ospedale e il secondo in scuole elmentari ed uffici comunali. Nel 1840 l’edificio fu in parte abbattuto per consentire la costruzione della ferrovia, e tra il 1912 ed il 1913, fu completamente ristrutturato e trasformato in asilo infantile ed in ospedale.
Nel corso degli anni Sessanta del XX secolo, con lo spostamento del nosocomio in località Madonna della Guardia, l’ex Convento degli Agostiniani fu adibito a Casa di Riposo per Anziani, e tale è rimasto fino al 1998, quando sono iniziati i lavori di ristrutturazione finanziati dalla legge sul Giubileo (e in parte dall’Amministrazione Comunale) ultimati in primavera 2000. L’edificio oggi Ostello della Gioventù denominato “Ospitalia del Mare” è in parte destinato ad ospitare i pellegrini del Giubileo del 2000, mentre in alcuni spazi saranno allestiti esposizioni permanenti sulla storia e l’arte di Levanto. Un discorso a sé merita l’auditorio, posto nella parte occidentale dell’edificio.
Nel corso dell’intervento attuato a partire dal 1998 e nella fase di studio che lo ha preceduto sono state rinvenute alcune emergenze degne di interesse: al primo piano, un soffitto ligneo e una loggetta (probabilmente entrambi del XV secolo), alcuni schizzi preparatori per disegni (in uno dei quali si legge, anche se con qualche difficoltà, una scena forse relativa al porto levantese) ed una serie di piastrelle in ceramica formanti una scritta dedicatoria a Papa Giulio II. Al piano terra, un corridoio a forma di galleria (trasversale e circa in mezzeria dell’edificio) lungo quanto lo stesso, intersecato sui due lati da portali ad arco acuto in peridotite (che richiama la parete della darsena), il locale adibito a magazzino del sale, con parete interne databili al XVIII secolo ed alcune parti della chiesa seicentesca. Si segnala all’attenzione del visitatore il soffitto ligneo dipinto rinvenuto al primo piano e restaurato completamente. Si tratta probabilmente, sotto l’aspetto storico-artistico, di un ritrovamento significativo, particolarmente per i disegni su travi portanti principali, raffiguranti scene di caccia.

PIAZZA DA PASSANO

In fondo a questa piazza si possono osservare una coppia di archi di grandi dimensioni (3,68x4,35 m.) con muratura coeva (XIII – XIV secolo), tamponati con muri d’epoca posteriore. Se si tiene presente che il livello della piazza si è innalzato di almeno tre metri dall’epoca in cui furono edificati ad oggi, le altezze originarie degli archi superavano i sette metri.
Tali dimensioni, unitamente al restante parametro murario contiguo, sia verso Salita S. Giacomo, sia dal lato opposto, hanno consentito di avanzare l’ipotesi che tali elementi architettonici costituissero l’ingresso dell’arsenale in cui venivano riparate le imbarcazioni.
Attigua alla Piazza Da Passano, si trova quella Del Popolo, così chiamata dopo la costituzione della Repubblica Ligure, nella quale si trova la loggia comunale.

VIA GARIBALDI

L’espansione del Borgo Antico iniziò verso la fine del medioevo seguendo il percorso della Via dei Monti, con la costruzione dei primi edifici, cioè quelli ubicati tra l’inizio dell’odierna Via Garibaldi e l’incrocio con Via Martiri, per proseguire fino all’arco che si trova tuttora in fondo alla strada.
In corrispondenza di tale arco, che di notte veniva chiuso ancora all’inizio dell’Ottocento, un tempo si trovava la Porta di San Martino, così chiamata per la presenza nelle sue immediate vicinanze, di una cappella intitolata a questo santo.
All’inizio del Seicento il nuovo quartiere risultava ultimato, com’è dimostrato da uno schizzo conservato presso l’Archivio di Stato di Genova.
Questo nucleo, anch’esso riproducente la tipologia del borgo lineare così diffusa a Levanto, fu chiamato Borgo Nuovo o dello Stagno.
L’origine del toponimo Stagno è verosimilmente da ricercarsi nel fatto che, sino alla metà dell’Ottocento, tra le due schiere di case edificate sui lati opposti della strada correva un rio alimentato dalle acque meteoriche, che poi finivano per stagnarvi quasi tutto l’anno, anche in seguito a fenomeni di infiltrazione attraverso il terreno.
La strada è infatti attraversata dal torrente Terraro e dal rio Gavazzo che, unitamente al Ghiararo, hanno provocato nel corso dei secoli ben più di un’alluvione, causando talvolta anche degli eventi luttuosi. Nel XX secolo ad esempio, se ne sono verificati due, nel 1948 e nel 1981.
Quella del ’48 è ancora ben presente nella memoria dei Levantesi, soprattutto per i gravi danni che causò.
Tra il XVIII e il XIX secolo la maggior parte degli edifici dello Stagno, inizialmente poco più che casupole, furono rialzati e talora accorpati a formare i palazzi oggi esistenti, decorati esternamente alla moda già affermatasi da tempo a Genova: le facciate dipinte.
Recentemente queste facciate sono state quasi tutte riportate all'antica bellezza.
Trattando di Via Garibaldi, non si può tralasciare di segnalare il primo edificio posto all’angolo con Via Vinzoni, ove si trovano una serie di nove figure caricaturali a mezzo busto, dette "Grottesche".
Le caricature, dipinte a monocromo con la tecnica dell’affresco entro altrettanti archetti pensili in corrispondenza della fascia marcapiano del prospetto verso Via Garibaldi, sono state attribuite ad un ignoto pittore del XVI secolo.
Esse rappresentano una delle poche testimonianze superstiti in Liguria di un tipo di decorazione, probabilmente di origine lombarda, un tempo molto diffusa in questa regione.

BUSCO

La "villa" di Busco, posta a 120 m. s.l.m. 50, è costituita da un gruppo di case oggi diviso in due dalla strada provinciale.
Disposta lungo il percorso di crinale che sale sino a Legnaro, un tempo collegato con la Val di Vara, è d’antiche origini, tanto che in un documento del 1277 è citato Giovannino de Busco, mentre nel 1389 un altro Giovannino de Busco (caso evidente di omonimia) fa parte del Consiglio di Borgo e Valle.
In passato è stata molto popolata. Infatti, nel censimento del 1607 i suoi abitanti erano addirittura 138. Nell’abitato giunto sino a noi, non si riscontrano visibilmente segni tangibili del passato. Sotto la strada provinciale si trova, ridotta quasi completamente allo stato di rudere, la cappella di Nostra Signora della Mercede.
Edificata probabilmente nel XVIII secolo, è citata nei documenti dell’archivio parrocchiale di Legnaro a partire dal 1809.

CHIESANUOVA

E’ un borgo lineare edificato seguendo il crinale di una collina posta a 220 m. s.l.m. Le costruzioni a schiera si trovano sui due lati dell’antica mulattiera di collegamento tra Levanto e l’entroterra.
Il toponimo è probabilmente derivato dal rifacimento della parrocchiale di S. Nicolò (XIII secolo). Quindi, si può supporre che, anteriormente al XIII secolo, nella villa esistesse un’altra costruzione adibita al culto.
A Chiesanuova è legata la leggenda, avallata da alcuni storici, del passaggio dell’imperatore Ottone III nell’anno 996, per recarsi a Roma. Il che potrebbe suffragare l’ipotesi della nascita di questo nucleo a prima del Mille.
Le notizie documentate su Chiesanuova (anticamente Ecclesianova) sono abbastanza numerose. Nel 1165 ad esempio, fu saccheggiata da truppe pisane, unitamente a Fontona e Legnaro, mentre nel 1270 un contratto stipulato a Genova riguarda Giacomo de Ecclesianova, orefice, e Giovanni Scotto de Tuvo.
Nella prima metà del ‘500 a Chiesanuova erano insediati circa 250 abitanti, che successivamente diminuirono: 225 nel 1607, 174 nel 1834. Sulla pianta di Matteo Vinzoni del 1722 il nucleo è già formato quasi come oggi.
L’edificato antico presenta diversi esempi interessanti, tra cui alcuni portali in arenaria locale ad arco del XIV secolo, murature del XVI e architravi di portale a monolite, nei pressi della parrocchiale. Alla fine del Medioevo risalgono le strutture murarie di un grande edificio posto nella parte bassa del paese, che il Vinzoni (metà sec. XVIII) indica come una scuderia con annessa locanda. Al centro del borgo si trova ancora l’edificio in cui, sino alla fine del XVIII secolo era alloggiato l’ospitale di S. Nicolò. Villa Zattera, posta a monte dell’abitato, è un tipico esempio di residenza rurale tardogotica.
La parrocchiale di San Nicolo’di Bari. Edificata nel XIII secolo.
, è citata per la prima volta nel testamento di Sardo de Raxino del 1268. Inizialmente aveva la pianta a forma di T (un unicum in ambito levantese), cioè ad aula rettangolare, chiusa verso oriente dal transetto della stessa forma, ma di larghezza minore.
Le murature del transetto, di sensibile spessore, sostenevano il campanile a sezione quadrangolare. Successivamente, tra il XIV ed il XVIII secolo, il primigenio tempio romanico subì varie trasformazioni, le principali delle quali furono: l’ampliamento del transetto, l’innalzamento delle mura perimetrali, la costruzione delle due cappelle laterali (realizzate con il prolungamento dei muri perimetrali del transetto), l’edificazione dell’abside semicircolare, l’innalzamento del campanile, l’apertura nella facciata dell’oculo sottostante la trifora (risalente alla prima fase edificatoria) e la copertura con volta a botte.
Con l’aggiunta delle due cappelle laterali, il sacro edificio assunse l’aspetto odierno.
Tra il 1982 ed il 1990 il tempio è stato consolidato staticamente, risanato dall’umidità e restaurato. Nel corso di questo intervento sono stati scoperti nella volta del presbiterio posta sotto la torre campanaria alcuni affreschi, attribuiti al XV secolo.
Nell’interno sono conservate alcune opere degne di nota, tra cui il fonte battesimale in marmo bianco lunense del XV secolo.

FARAGGIANA

Anticamente inclusa nel “Terziere di ponente”, è posta sulla prima propaggine collinare sotto Tuvo.
In realtà non costituisce un nucleo ma un gruppo di case sparse, documentato dal 1389, quando Domenico di Faraggiana fa parte del Consiglio di Borgo e Valle.
Nella prima metà del ‘500 l’insediamento aveva circa 75 abitanti.
La cappella di Sant’Anna, la prima notizia della quale risale al 1651, sorge isolata nella parte alta di località ultedi. Preceduta da un piccolo sagrato, è affiancata da piante di lecci secolari. La chiesina, molto semplice ben tenuta, è formata da un’aula a sezione quadrata alla quale s’innesta il presbiterio. La copertura è costituita da una volta a botte impostata su un elegante cornicione sorretto negli angoli da sottili lesene. L’altare, in stucco baroccheggiante, è addossato alla parete di fondo, incavata da tre nicchie. Quella centrale contiene la statua lignea dipinta della Santa a cui è intitolata la cappella, probabilmente di scuola genovese del Settecento.
Sui due lati, altrettante tele di medesima epoca e scuola. In una vi è rappresentato un Santo francescano inginocchiato che prega davanti ad un ostensorio sorretto da due angeli, nell’altra un beato francescano orante rivolto verso il cielo. Sulla campana bronzea, che si trova provvisoriamente nell’interno del tempietto, vi sono rappresentati la Madonna con il Bambino ed altre due figure non identificate.
Seconda la tradizione orale, sulla collina sottostante la cappella di Sant’Anna si trovava il primitivo convento levantese dei francescani. Dopo la costruzione del complesso dell’Annunziata tale convento sarebbe stato ceduto ad un privato genovese, il quale lo trasformò in casa padronale di campagna.

FONTONA

Posta a 136 metri s.l.m., è il centro storico più orientale della valle di Levanto. In conseguenza di questa posizione, sino a circa mezzo secolo fa era attraversata da chi voleva andare da Levanto al Santuario Mariano di Soviore.
Caratterizzata dalla tipica edificazione a borgo lineare, cioè con le abitazioni disposte a schiera sui due lati della strada che l’attraversa quasi completamente e prosegue ininterrottamente sino a Colle di Gritta (330 metri s.l.m.).
I documenti più antichi in cui è citata Fontona sono due. Nel primo, del 1229, quando i signori Da Passano cedono a Genova i loro diritti su Levanto, tra gli uomini della prima Università di Borgo e Valle di Levanto sono citati ben tre persone di Fontona: Rustiguinus, Guitonus e Rolandinus.
L’altro, del 1377, attesta la partecipazione di alcuni rappresentanti di questa villa alla prima stesura degli Statuti di Levanto ed alle aggiunte successive (1482).
Nella prima metà del ‘500 aveva circa 100 abitanti, nel 1607 erano 135 e salirono ad oltre 300 nella prima metà dell’Ottocento.
Confrontando la planimetria di Fontona del 1722 con quell’odierna, se ne deduce che gli edifici di questo centro storico sono aumentati di poco in oltre due secoli e mezzo. Altro dato che emerge dalla carta settecentesca di Matteo Vinzoni, i tre mulini allora funzionanti lungo il corso dei torrenti che attorniano Fontona, notoriamente ricca d’acqua, come testimoniato dal toponimo. Questi impianti, azionati da giranti che sfruttavano i salti d’acqua come energia motrice, sono rimasti in attività sino a pochi decenni or sono. Successivamente sono stati trasformati in residenze private, pur mantenendo abbastanza intatti alcuni elementi dell’impianto produttivo preindustriale visibili all'esterno, come le vasche per l’accumulo dell’acqua, le giranti e le macine in arenaria, nonché i volumi costituenti i corpi edificati.
La parrocchiale di San Michele Arcangelo. E’ ricordata già nel XII secolo. La prima chiesa d’ugual titolo fu abbandonata circa il 1620 perché per la natura del suolo franoso ove era edificata per ben tre volte fu riedificata, non restandovi in oggi di primo origine che il Santa Sanctorium. Ossia, l’antico edificio religioso intitolato a San Michele Arcangelo era l’attuale Santuario della Madonna del Soccorso, mentre la parrochiale fu costruita dov’è oggi nella prima metà del XVII secolo. Le cause dello spostamento furono probabilmente tre: l’instabilità del terreno (una paleofrana) di cui scrive il Gavazzo, l’aumento della popolazione e la distanza tra l’antica cappella e la villa.
In considerazione della sua posizione al centro dell’abitato e dell’imponenza della facciata e del campanile (a tre ordini sovrapposti), costituisce un elemento volumetrico molto qualificante nella configurazione panoramica del centro storico.
La Madonna del Soccorso. Per raggiungerla si prosegue sul sentiero CAI n°12 in direzione di Colle di Gritta e, prima di Casa Trinchetto, si trova a destra la deviazione per il sacro edificio, occultato da piante d’alto fusto (tra cui due lecci secolari di fronte alla facciata).
Attorno al santuario, per certi aspetti assimilabile a quelli più noti delle Cinque Terre, l’ambiente naturale è intatto e vi regna la pace più assoluta.
Il tempio, di modeste dimensioni (circa 6x15), si trova a 200 metri s.l.m. su un’ampia spianata posta tra due affluenti del torrente Fontona che scorrono nella zona, rendendola abbastanza vulnerabile per quanto concerne la stabilità del terreno (si notino, a tale proposito, le numerose chiavi metalliche presenti sulle murature).
I particolari architettonici dell’edificio rispecchiano una fabbrica semplice e caratterizzata da una sovrapposizione di interventi abbastanza numerosi.
Tra il XVIII ed il XIX sec., l’edificio fu radicalmente restaurato e, in tale occasione, subì sensibili variazioni, senza però restarne irreparabilmente modificato nella sua struttura primitiva.
Com’è attestato da due datazioni sull’intonaco, nella seconda decade del’900 la parte esterna fu rintonacata e dipinta.

GALLONA

Anticamente inserita nel Terziere di Levante, è posta a 148 metri sul livello del mare, sulla cresta della valle formata dal torrente omonimo, tra i crinali sui quali sono insediati Ridarolo e Legnaro.
Le prime notizie su questo piccolo centro storico risalgono al XIII secolo. L'abitato è costituito da due gruppi di case, di conformazione simile a quella che appare già nella planimetria di Matteo Vinzoni del 1772.
I due grandi edifici centrali, quasi certamente di origine sei-settecentesca, sono stati completamente ristrutturati. Quello posto più in alto, chiamato "La casa del Vescovo", aveva dipinto sopra l'ingresso del prospetto principale un blasone nobiliare.
Di fronte alla Casa del Vescovo se ne trova una rurale sul portale della quale c'è, entro un'apposita nicchia, una statuina della Madonna col Bambino del XVIII secolo.
Gli altri edifici antichi, allo stato di ruderi, sono archeologicamente databili ad epoca post-medievale. Sul sentiero che sale da Pié d Legnaro a Gallona si trova un ex mulino, da anni trasformato in residenza privata.

GROPPO

Già appartenente al Terziere di Ponente, piccolo e compatto, Groppo è localizzato a 215 metri s.l.m..
Il centro storico è sorto attorno ad una via mulattiera (asse di sviluppo principale) ed a due percorsi di mezza costa (assi secondari), che ne hanno determinato il disegno urbano a forma di pentagono irregolare.
La mulattiera che transitava per Groppo partiva da Levanto e, salendo da Fossato, proseguiva per Lavaggiorosso e raggiungeva la media ed alta Val di Vara.
L’asse principale e quello di mezza costa, ubicato a quota lievemente più elevata, si incontrano nel centro del nucleo, evidenziato dalla presenza della cappella di Sant’Anna.
Le notizie storiche documentate su questa villa sono abbastanza numerose.
All’inizio del’500 il nucleo era abitato da 70 persone; numero che restò invariato nel 1607 ed alla fine del’700. Confrontando la planimetria della villa fatta nel 1722 da Matteo Vinzoni con quella odierna, si può constatare che la parte edificata di questo centro storico è rimasta pressoché immutata.
Tra le principali emergenze di Groppo si possono notare: l’edificio (XVI-XVII secolo) di fronte alla cappella di Sant’Anna, con portale del secolo XVIII, sopra il quale si trova una nicchia con una bella Madonnina di marmo bianco di Carrara. Nella costruzione accanto, un'altra nicchia con piccola statua marmorea di buona fattura, raffigurante Sant’Antonio da Padova.
Parlando di Groppo non si può fare a meno di ricordare Agostino di Benedetto, valentissimo orafo originario di questa villa, che operò a Genova ed a Venezia verso la metà del XVI sec. La cassa processionale del Corpus Domini, conservata a Genova nel Museo del Tesoro di San Lorenzo, è un’opera di grande pregio artistico, nell’esecuzione della quale Agostino ebbe un ruolo importante, coadiuvato probabilmente dai due figli Giulio e Cesare.
La Cappella di Sant’Anna. Di dimensioni assai contenute, è documentata dalla prima metà del XVIII secolo.
Unita su entrambi i fianchi alle case attigue, posteriormente confina con la via pubblica.
La facciata è molto semplice e, come tante altre costruzioni religiose rurali della valle di Levanto, ha due piccoli finestrini quadrangolari ai lati della porta di ingresso ed una lunetta sopra di essa. Meno consueto, anche per la posizione che occupa sul timpano, il campanile a vela, datato 1841 sull’intonaco dipinto in rosa.
L’interno, a pianta rettangolare, ha la navata divisa dal presbiterio da due lesene.
Nella nicchia del presbiterio è conservata la statua marmorea di Sant’Anna, molto interessante per diversi aspetti, tra cui la dolce espressione del volto ed il panneggio fluente del manto.

LEGNARO

Già appartenente al terziere di Levante, sorge a 185 m. s.l.m. sulla mulattiera per Bardellone seguendo il crinale posto tra le vallette di Gallona e Villanova.
L’abitato, dominato dalle vedute d’assieme dalla torre campanaria della parrocchiale, è suddiviso in tre nuclei, il centrale più voluminoso ed a schema concentrico, quello a valle (a forma di pentagono) e quello a monte con tre assi viari da cui iniziano le antiche mulattiere per Bardellone Casale (Comune di Pignone) e Gallona.
Centro giurisdizionale della diocesi di Brugnato a partire dal secolo XII sino alla prima metà del XIX, il territorio di Legnaro è stato per secoli un cuneo della curia brugnatese proteso verso il mare nella vallata di Levanto e come tale ne rappresentava l’unico sbocco marittimo. Nel 1229, quando i Signori Da Passano cedono a Genova i loro diritti su Levanto, tra gli uomini della prima Università di Borgo e Valle di Levanto è citato Accursus Ardizonus de Legnario. Un altro documento comprovante l’antichità del sito, è la partecipazione del notaio Nicolò de Legnario alla stesura delle aggiunte del 1429 agli Statuti di Levanto.
Nella prima metà del ‘500 Legnà aveva circa 147 abitanti, che aumentarono a 225 nel 1607 ed a 330 nel 1834. Dalla planimetria di Matteo Vinzoni del 1722 si evince che il nucleo è aumentato di poco sino ai giorni nostri.
Parlando di Legnaro non si può sottacere che, nel 1722, vi nacque uno dei levantesi più insigni, Domenico Viviani. Si occupò soprattutto di scienze naturali, fondò l’orto botanico dell’Ateneo genovese e pubblicò diverse opere sulla flora italiana, su quella corsa e su quella libica. Si dedicò anche alla micologia, pubblicando "I funghi d’Italia", opera nella quale disegnò ben 1105 tavole raffiguranti tutte le varietà di funghi allora note.
La parrocchiale di S. Pietro.
Ricordata nei documenti a partire dal 1235, ha subito nei secoli successivi noti rifacimenti, uno dei quali (1482) - probabilmente il più importante - tramandato ai posteri da una lapide murata sulla facciata, a fianco del portale di ingresso.
L’architettura medievale del tempio è stata irrimediabilmente cancellata da tali interventi. Si può ragionevolemente ipotizzare che l’aspetto originale fosse ad aula con tre campate.
A questa struttura furono in seguito aggiunte le campate disposte longitudinalmente rispetto alla parte preesistente. Come risulta dalla visita pastorale del 1582, nel frattempo il tempio fu trasformato a due navate. Nel Seicento assunse l’aspetto odierno, ad aula rettangolare, fatta eccezione per il presbiterio, che fu ampliato nel secolo successivo.
Nell’interno si trova un’interessante tavola del XVI secolo restaurata, in cui sono raffigurati Sant’Antonio Abate, Santa Lucia ed un Santo Vescovo. Un cenno particolare meritano infine la vasca battesimale marmorea (XVI sec.), il coro ligneo e gli armadi che si trovano in sacrestia, entrambi settecenteschi.
Oratorio della Madonna delle Grazie. Unito alla Parrocchiale, ma ad una quota inferiore, è preceduto da un piccolo piazzale. Databile al XVI secolo, internamente vi è conservata una pregevole tavola della prima metà del XVI secolo (cm. 106x50,4), in cui è raffigurata la Madonna delle Grazie, attribuita al Maestro di Legnaro.

LIZZA

Posta su un promontorio a 180 metri s.l.m., anticamente faceva parte del Terziere di Ponente.
Il centro storico, assai compatto, si è sviluppato in tre blocchi degradanti – disposti lungo le curve di livello del terreno – che formano una figura a forma triangolare sui due assi di sviluppo principali.
La pianta dell’insediamento è simile a quella di Lavaggiorosso, anche per la posizione della cappella dell’Assunta, staccata dal nucleo verso Occidente.
Il percorso di mezza costa, che attraversa il borgo inferiormente, era un tempo collegato con la mulattiera che partiva da Levanto e – passando per Sant’Anna, Lizza, Lavaggiorosso, La Baracca, San Nicolao e Case Mola – raggiungeva l’Alta Val di Vara.
Lizza veniva pertanto a trovarsi su un percorso che anticamente era di una certa rilevanza, perché collegava Levanto con i centri commerciali dell’entroterra.
Ricerche archeologiche eseguite alcuni anni or sono hanno confermato che la nascita del nucleo è avvenuta a partire almeno dagli inizi del XIII secolo.
All’inizio del’500 nella villa di “Lissa” risiedevano approssimativamente 70 abitanti. Nel 1607 questi ultimi erano 166 e, nella prima metà dell’Ottocento, 114.
Confrontando la planimetria fatta da Matteo Vinzoni nel 1722 con quella odierna, si constata che gli edifici di questo centro storico sono aumentati di poco in oltre due secoli e mezzo.
Altro dato che emerge dalla carta settecentesca del Vinzoni, sono i mulini allora funzionanti nella valle posta sopra l’abitato e nelle sue adiacenze. Alla fine dell’Ottocento sei di questi impianti, che tramite apposite giranti sfruttavano l’acqua dei vicini torrenti come energia motrice, erano ancora in piena attività.
Uno di essi, denominato i mulini di Lizza, era il più importante di tutta la valle di Levanto. Si trova, abbastanza conservato, tra Lizza e Lavaggiorosso, sotto la strada veicolare proveniente da Levanto. E’ composto da alcuni edifici del XVII-XVIII secolo, tre dei quali, disposti degradanti dall’alto in basso, muniti esternamente della girante metallica ed internamente dei meccanismi di trasmissione del moto e degli attrezzi per la molitura di grano, mais e castagne.
A nord il complesso è preceduto da un piccolo ponte che scavalca il Fosso del Mulino dal quale si dipartono tre antiche vie di comunicazione: una per Fossato, l’altra per Lizza e la terza per Lavaggiorosso.
Nella villa di Lizza, in cui è ancora visibile l’antica porta di ingresso, si trovano alcuni edifici di interesse storico.
Uno di essi ha una struttura muraria riconducibile alla fine del XVI secolo. In altri due si notino i portali, in cui sono stati reimpiegati stipiti in ardesia con decorazioni cinquecentesche.
Al centro dell’abitato si trova un altro edificio degno di nota, sia per il suo volume, sia per la presenza d’alcuni elementi architettonici come il portale, le monofore, le feritoie e il torrioncino angolare. Il portale in particolare, ha gli stipiti di recupero cinquecenteschi in ardesia, con bassorilievi di teste e vasi di fiori. Probabilmente era l’antica dimora dei signori del luogo.

CAPPELLA DI SANTA MARIA ASSUNTA

Edificata a ponente del centro storico, sul terrapieno che forma il sagrato, rispecchia nelle forme attuali tendenze tipiche settecentesche, anche se esisteva già nel 1584.
La pianta, a forma di rettangolo, è chiusa da un abside semicircolare. La facciata decorata da quattro lesene dipinte sul fondo policromo, reca la data 1937. Il portale è assai semplice, in marmo Rosso Levanto.
Nell’interno, ad aula voltata dipinta con lesene che ripartiscono l’ambiente in tre campate, si trova una statua marmorea della Vergine con il Bambino (privo della testa), in una nicchia al centro del catino absidale.
Nel presbiterio è murata una lapide marmorea del 1715, relativa ad un lascito di un certo Gio Batta Perrone (della Lizza), con l’obbligo perpetuo di celebrare messe in suffragio della sua anima.

PASTINE

L’insediamento superiore, posto a 185 m s.l.m., è ubicato lungo la testa di un promontorio al centro del quale transita la mulattiera che dal fondo valle delle Ghiare sale verso la Foce di Bardellone.
Il nucleo si è sviluppato compatto attorno a quest’antico percorso, secondo una serie di viuzze di mezzacosta che vanno ad intersecarsi con esso.
Gli edifici originari sono piuttosto rari, essendo stati nella maggior parte dei casi ristrutturati.
Pastine Inferiore si trova a 140 m s.l.m., su un dosso ove transita un percorso di crinale che da Pastine Superiore scende alle Ghiare.
Il nucleo è edificato in modo assai compatto prevalentemente tra le due vie di mezza costa e quindi quote di diversa altezza, che nella parte superiore si congiungono con la principale. Gli interventi di ristrutturazione eseguiti nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso hanno indubbiamente modificato l’aspetto di questo antico centro storico.
Il primo documento in cui è citata Pastinum è del 1222. La popolazione di Pasten era costituita nella prima metà del’500 da circa 120 abitanti, distribuiti in parti uguali tra il nucleo inferiore e quello superiore. Nel censimento del 1607, a Pastine risiedevano 152 abitanti, mentre nel 1828 le anime erano 147.
Nell’ariosa ed irregolare piazzetta antistante la cappella di S.M. Assunta convergono le strade del nucleo, generando, con le case circostanti, una piacevole scenografia ed un’ampia veduta panoramica.

CAPPELLA DI SANTA MARIA ASSUNTA

E’ situata all’ingresso del nucleo, contigua all’archivolto che sottopassa la sacrestia. Era già officiata nel 1624 e fu visitata nel 1628 dal delegato episcopale.
E’ un tempesto molto semplice che si regge su alcune volte sotto le quali transitava l’antica mulattiera per Bardellone.
L’interno è a pianta rettangolare con l’abside concava, diviso dal presbiterio da due gradini lievemente spostati in avanti rispetto all’arco di trionfo. Si segnalano l’altare in stucco decorato con finti marmi, l’armadio settecentesco della sacrestia, una tela raffigurante la Madonna in trono con il Bambino tra i santi Sebastiano, Francesco e Rocco (cm. 130x100, fine XVI sec.) e, soprattutto, la bella statua lignea dipinta dell’Assunta, di scuola genovese del XVIII sec., che si trova entro una grande nicchia sopra l’altare maggiore.

TUVO

Posta in alto sul versante occidentale della valle di Levanto, questa "villa" ha antiche origini.
Si trova, infatti, citata in alcuni contratti del XIII secolo rogati a Genova.
Nella prima metà del ‘500 gli abitanti di Tuvo erano una cinquantina, poi scemarono a 27 nel 1607 ed a 19 nel 1828.
Nel XX secolo è documentata a Tuvo l’esistenza di una cappella, intitolata alla Madonna della Salute, di cui oggi si è persa traccia.

VIA TOSO

Così intitolata dopo la seconda guerra mondiale in ricordo di don Emanuele Toso, parroco di Lavaggiorosso fucilato nel 1944 dagli alpini della divisione Monterosa, inizia da Piazza del Popolo e raggiunge il piazzale di Sant’Andrea.
Nell’Ottocento era chiamata "via alla Parrocchia" e, probabilmente, è la strada citata numerose volte nei documenti antichi con il nome di "carrubeo recto".
Nel tratto iniziale, fino all’incrocio con Via Della Compera, sui due lati della strada si trovano tre edifici del XIII-XIV secolo, sulla destra la casa Restani, sulla sinistra una costruzione che in origine era a due piani e un altro edificio ad un piano munito di archetti pensili con un grande arco, probabilmente l’ingresso di un grande magazzino dell’antico porto di Levanto.
Come in tutti gli edifici levantesi coevi il materiale lapideo da costruzione impiegato è la peridotite verde locale, tanto che la fantasia ha suggerito a qualcuno di chiamare Borgo Verde l’antico nucleo. La casa Restani, tipico esempio di edificio mercantile medievale con i magazzini e la bottega al piano terreno e l’abitazione a quello superiore, presenta inferiormente tre grandi archi costruiti anch’essi in funzione dell’antico porto.
Le quadrifore e le trifore al primo piano, al pari della restante parte dell’edificio, sono completamente frutto di un restauro un po’ “azzardato” attuato all’inizio del XX secolo. In altre parole, soltanto la muratura e gli archi in peridotite sono originali, mentre il resto della costruzione è un falso.
Proseguendo in Via Toso, dopo l’incrocio con Via Della Compera, tutti gli altri edifici sono stati ricostruiti dopo i bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale.

VILLANOVA

Al riguardo di questo insediamento del Terziere di Levante della valle, che sorge su una collinetta posta sotto Fontona, le prime notizie risalgono al XVI secolo. Nella prima metà del’500 contava circa 50 abitanti, che scesero a 39 nel censimento del 1607.
Il complesso architettonico che caratterizza in modo inconfondibile l’abitato è la chiesa, slanciata verso l’alto. Era intitolata a tre santi, S. Ignazio di Loyola, S. Francesco Saverio e S. Tommaso di Villanova, ed è documentata a partire dal 1663. A pianta rettangolare con abside curva, in facciata c’è una lunetta sopra l’ingresso e due finestre ai lati. Sopra l’architrave del portale, lapide marmorea con la scritta: Virgini matri labis nesciae/sanctisq. Ignatio Loyolae Francisco/Xaverio et Thomae de Villanova/dedicatum an. MDCLXIV.
Da qualche decennio Villanova è stata trasformata in una quieta sede agrituristica.

IL CASTELLO

L’esistenza di un castello nel borgo risale al 1165, anno in cui probabilmente era proprietà dei Malaspina. Nel secolo successivo la notizia è confermata in un documento sul quale è nominato castello di Monale.
Il monumento odierno, posto su una piccola altura a meridione dell’abitato, è quasi certamente una ricostruzione genovese dell’antico maniero, che risale alla seconda metà del XVI secolo, periodo in cui furono ricostruite anche le mura.
Nel 1637, con l’istituzione da parte della Repubblica di Genova del Capitanato di Levanto, fu sede provvisoria del capitano. Successivamente fu adibito a prigione, sino al 1797, anno in cui cadde la repubblica. Alienato dal demanio nella seconda metà dell’Ottocento, fu restaurato tra la fine del medesimo secolo e l’inizio del XX ed è tutt’oggi di proprietà privata.
Il fortilizio presenta una struttura architettonica piuttosto semplice, costituita da una torre circolare e quattro muraglie disposte a forma di quadrilatero.
Il camminamento di ronda sporgente dal manufatto è retto da archi in mattoni che poggiano su mensole di pietra arenaria e ornato da merli ghibellini, in corrispondenza della torre, guelfi nella parte rimanente. Sui prospetti sud ed est si trovano alcune aperture per bocche da fuoco, coeve alla costruzione cinquecentesca, mentre le tre finestre della torre sono state realizzate in tempi più recenti.
Nell’interno c’è una cisterna di dimensioni piuttosto rilevanti, destinata alla provvista dell’acqua nel caso di attacchi con assedi prolungati. Un tempo vi si trovavano i due cannoni ora sistemati in Via G. Semenza uno dei quali ha una corona di fusione, probabilmente quella della casa reale d’Inghilterrra.
Un’antica tradizione vuole che dal Castello partissero dei passaggi interrati. Uno arrivava sulla spiaggia proprio sotto di esso; l’altro giungeva sino in prossimità della Chiesa dell’Annunziata, dopo aver attraversato tutto il borgo sotto terra.
Nel castello sono conservati due bassorilievi di scuola genovese su ardesia degni di interesse. In uno, della fine del XV secolo, è raffigurata l’Annunciazione; nell’altro, dell’inizio del XVI, San Giorgio e il drago.

LA CHIESA E IL CONVENTO DELL'ANNUNZIATA

La chiesa e la prima parte del convento (sino al primo chiostro) furono edificati tra il 1449 ed il 1460 in posizione sopraelevata e completamente isolata dal borgo, in una zona in cui transitava la mulattiera che partiva dal borgo medesimo per raggiungere i centri storici della parte occidentale della valle e, successivamente, l’entroterra.
Non è improbabile però, che anteriormente alla costruzione di questo complesso, esistesse a Levanto, in località Moltedi, una piccola comunità di Frati Minori Francescani, appartenenti cioè allo stesso ordine che costruì la chiesa dell’Annunziata.
Verso la fine del XV secolo il convento venne ampliato con la costruzione della parte comprendente il secondo chiostro e, all’inizio del XVI, fu ultimato con la realizzazione della parte verso oriente.
Una domenica mattina dal 1613, durante la messa crollò la navata sinistra della chiesa e morirono ben 17 persone. Dopo due anni ebbero inizio i lavori di ricostruzione, nel corso dei quali il sacro edificio fu allungato di una campata e lievemente innalzato. Altri interventi furono attuati nei secoli successivi, finchè, tra il 1980 ed il 1992 il complesso venne completamente restaurato e riportato, nei limiti del possibile alla sua versione primitiva.
La facciata è improntata come tutto il tempio ad una semplicità veramente francescana.
Al centro s’apre il portale, sopra il quale si trova un bassorilevo del XV secolo, in marmo bianco di Carrara.
Nell’interno, a tre navate, sono conservati due dipinti di eccezionale qualità, San Giorgio e il drago e il Miracolo di San Diego.
Il primo, degli inizi del XVI secolo, attribuito al pavese Pier Francesco Sacchi, fu a suo tempo “rapinato” dai funzionari di Napoleone ed esposto al Louvre per circa mezzo secolo.
Secondo gli esperti che hanno studiato quest’opera, si tratta di una delle migliori del pittore rinascimentale originario di Pavia, che opera a Genova a partire dal 1501 sino alla morte (1528).Il quadro eseguito ad olio su tavola (172x149 cm.), è dominato dalle figure del santo a cavallo e della bestia feroce, che lottano per prevalere l’uno sull’altra.
Per quanto riguarda il miracolo di San Diego, attribuito dalla critica a Bernardo Strozzi (Il Cappuccino), pur non essendo una delle migliori opere del prolifico frate-pittore, si tratta pur sempre di un dipinto di notevole qualità, eseguito da uno dei più importanti rappresentanti della scuola barocca genovese.
L’accesso al convento è consentito da un loggiato restituito alla sua veste primordiale nel corso di un recente intervento di restauro.
All’interno del convento la visita all’ex refettorio cinquecentesca è degna d’interesse. Si tratta della più bella sala del complesso, che indubbiamente riecheggia l’analoga struttura genovese di Nostra Signora del Monte. La decorazione pittorica, che è l’elemento più qualificante del locale, è costituita da quattro tondi con santi (dipinti da Michele da Levanto nel XV secolo) e tre serravolta dipinti ad affresco e contornati da sinuosi raggi solari.
Sulla parete di fondo dell’ex refettorio è conservata una bella tela di grandi dimensioni (cm 250x370), firmata Gian Battista Casoni e datata 1641. L’opera, dichiaratamente di sapore caravaggesco, è certamente una delle migliori del Casoni, pittore nato a La Spezia e formatosi in ambito genovese.
Uscendo dall’ex refettorio si trova appeso alla parete un dipinto (175x123 cm) che ritrae un levantese illustre, il beato Battista Tagliacarne, che nel 1449 fondò questo complesso.

LA MADONNA DELLA COSTA

A breve distanza dall’oratorio di San Giacomo si può vedere ciò che resta della Chiesa intitolata a Nostra Signora Assunta della Costa.
Edificata dalla comunità del borgo probabilmente in epoca anteriore alla costruzione della Parrocchiale di Sant’Andrea, a partire dal 1528 passò in patronato a Giovanni Gioacchino Da Passano.
Al centro della facciata barocca, un'interessante sovrapporta cinquecentesca in marmo bianco di Carrara (cm. 70x210), attribuita alla bottega di Giovanni Gaggini, in cui sono raffigurati San Giorgio e il drago con le armi della famiglia Da Passano.

LE MURA

Furono erette nel 1265 dalla Repubblica di Genova dopo che Levanto subì vari attacchi da parte dei Pisani, i più gravi dei quali furono due. Il primo (1165), nel corso del quale fu messo completamente a fuoco; il secondo (1242), durante il quale i Levantesi si misero in salvo rifugiandosi nel castello e il borgo fu distrutto.
Dai documenti risulta che le mura furono ricostruite a partire dal 1565e, in una planimetria di Matteo Vinzoni del 1722, sono rappresentate probabilmente ancora nel loro percorso medioevale, che andava dal castello alla torre dell’orologio, per scendere sino alla porta di San Cristoforo. Tali muraglie proteggevano verso oriente soltanto il Borgo Antico, ossia quello che comprende tutta Via Guani, la collina sulla quale sorge l’ex chiesa della Madonna della Costa e quella del castello, compreso l’abitato circostante la parrocchiale di Sant’Andrea sino a Piazza da Passano.
Dal lato verso il mare, per quanto se ne sa, non è mai esistito un baluardo vero e proprio e la difesa era costituita dalla schiera delle costruzioni dell’odierna Via Guani. Un aspetto questo apparentemente inspiegabile, se non con la necessità di consentire il funzionamento del porto medioevale levantese. D’altro canto, anche altri borghi della Liguria in cui esistono tuttora mura d’origine medioevale, difendono l’abitato solo verso il lato a monte, come per esempio a Noli, Portovenere e Vernazza.
Lungo il percorso si trovano tre torri, ancor oggi esistenti, e alcune porte. Di queste ultime, soltanto una si è conservata, quella menzionata negli Statuti di Levanto come Porta del Fossato o dell’Acqua. E’ ubicata prima di Prealba, a fianco dell’ex Convento degli Agostiniani, e consente tuttora l’accesso al sentiero per Monterosso che passa in località Bagari.
Con l’avvento delle moderne vie di comunicazione (strade e ferrovie), nel XIX secolo gran parte delle muraglie di cui erano munite quasi tutte le città ed i borghi antichi italiani sono andate distrutte. Da questo punto di vista Levanto è stata fortunata. Infatti, il perimetro delle fortificazioni di cui si sta parlando è stato solo in piccola parte distrutto nel corso dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento.
Partendo dalla torre del castello, sulla parte in basso della quale è ancora visibile il punto in cui si innestavano le mura, si scende sino alla prima porta (novecentesca), dopo la quale iniziano le mura antiche. Questa parte delle fortificazioni è, salvo brevi tratti, cinquecentesca e arriva sino al punto in cui transitava la linea ferrata, trasferita a monte negli anni Sessanta del secolo XX. La seconda parte, databile tra il XIV ed il XV secolo, inizia dalla torre dell’orologio ed arriva sino alla prima costruzione sottostante. E’ stata restaurata circa dieci anni or sono.
Immediatamente prima della porta novecentesca di cui si è scritto sopra, esiste un breve tratto di muraglia semicircolare, era l’abside dell’antico oratorio Mortis et Orationes. Nell’edificio contiguo ai ruderi di quest’ultimo, nel Settecento funzionava ancora uno dei tre ospitali del borgo. Uscendo dalla medesima porta si può vedere l’antica cava di marmo Rosso Levanto, ancora attiva negli anni Cinquanta del XX secolo e poi chiusa per ragioni di sicurezza dell’abitato.

L'ORATORIO DI SAN GIACOMO

Sede della più antica confraternita di Levanto, della quale si hanno notizie a partire dal 1409, fu costruito alla fine del’500 e consacrato il 23 giugno 1600.
Originariamente la confraternita, probabilmente fondata ben prima del 1409, aveva la propria sede presso un altare nella chiesa della Madonna della Costa. Molte confraternite italiane sono sorte nello stesso modo, come ad esempio quella di San Jacopo a Pistoia, il cui altare si trova tuttora nel duomo della città.
Recentemente restaurata, la facciata è molto semplice. Il dipinto che campeggia al centro è degli inizi del XX secolo. Sopra l’ingresso, un interessante bassorilievo su marmo bianco (cm. 53x150), attribuito ad un ignoto scultore lombardo della prima metà del XV secolo.
L’interno del sacro edificio, ad aula, è conforme ai modelli propri delle chiese costruite dagli ordini flagellanti nei centri liguri minori, improntati cioè alla massima semplicità.
Nella chiesa sono conservati altri arredi ed icone sacre settecentesche, due grandi crocifissi processionali, la statua lignea dipinta del santo titolare e il più antico e pregevole organo meccanico di Levanto: un Giosuè Agati, costruito a Pistoia nel 1827, collocato sopra l’ingresso sulla cantoria lignea con parapetto dipinto raffigurante al centro la cena di Emmaus.

SALITA SAN GIACOMO

Dopo il primo tratto di salita prosegue il paramento murario di Piazza Da Passano con un’altra coppia di archi aventi dimensioni un po’ inferiori a quelli sottostanti.
La muratura termina verso l’alto con una serie di archetti pensili e poco dopo vi sono i resti di una colonna sormontata da un capitello. Subito dopo, al civico n. 4, sovrapporta in pietra di promontorio (cm. 78x195) raffigurante il Nome di Cristo presentato dagli angeli, attribuito ad uno scultore della bottega di Domenico Gaggini (1420-1492).
La sovrapporta è inserita con elementi del tutto eterogenei per epoca, qualità e materiali. Sul portone d’ingresso del palazzo al n. 6 interessante sovrapporta cinquecentesca, attribuita alla bottega di Giovanni Gaggini, cugino di Domenico in marmo bianco di Carrara, sulla quale è raffigurato San Giorgio e il drago e le armi della famiglia Da Passano.
E’ documentato che questa sovrapporta si trovava in capo alle scale per cui si accede agli appartamenti del palazzo Da Passano, distrutto nel corso di un bombardamento aereo della seconda guerra mondiale.
Fu collocata nella posizione attuale quando, dopo il predetto evento bellico, il palazzo fu ricostruito. Diversi elementi dell’apprezzabile rilevo, come la cornice a foglie lanceolate, le caratteristiche somatiche del drago, la decorazione dei finimenti del cavallo e la foggia dell’armatura del santo, riecheggiano i modi di lavorare della bottega a cui è stato attribuito.

VIA GUANI

In origine, molto probabilmente la parte del Borgo Antico ad occidente del Cantarana che costituisce l’attuale Via Guani era una strada avente sui due lati quasi esclusivamente dei magazzini e delle abitazioni mercantili alte solo un piano con magazzino e bottega.
Tale strada, edificata in tal guisa a partire dal XIII secolo, esprime lungo tutto il percorso la sua funzione primigenia, cioè una via di transito adatta per il passaggio di una doppia corsia di muli carichi chiusa fra due schiere di manufatti. In tal modo, la via delimitava il borgo a sud-ovest, mentre verso est era protetto dalle mura, erette nel 1265.
A partire dal Cinquecento, furono edificati sopra i resti delle antiche costruzioni anzidette, alcuni palazzi signorili, come quelli ai numeri civici 27 e 37.
Quest’ultimo, chiamato il Palazzo Guani o delle Sirene, costituisce quasi certamente il più evoluto esempio di dimora rinascimentale levantese; mentre quello al numero 27 è contraddistinto da un piccolo atrio-scala a pianta rettangolare, con volta a padiglione avente una colonna marmorea centrale con capitello tuscanico e cinque lunette su peducci in ardesia lavorata a rilievo.
Al primo piano, in corrispondenza del ballatoio, due interessanti sovrapporta cinquecentesche in ardesia finemente decorate a bassorilievo. Anche gli altri edifici di Via Guani sono sorti verosimilmente su preesistenti strutture medievali, come il palazzo al civico n. 17, che nel corso del seicento, quando Levanto fu elevato a sede di Capitaneato, divenne sede del Capitano.
Nel Settecento Via Guani era chiamata Via Delle Botteghe e soltanto alla fine dell’Ottocento assunse la denominazione attuale.
Per i levantesi si chiama da tempo immemore Via Dei Forni, perchè ancora sino ai primi decenni del Novecento vi funzionavano i forni per cuocere il pane.
Una testimonianza quasi intatta delle antiche costruzioni medievali è ancora visibile tutt’oggi all’inizio della strada provenendo da Via Garibaldi, i tre portali di un magazzino del XIII-XIV secolo con muratura coeva in serpentinite verde locale. In fondo a Via Guani si trovava – sino a metà Ottocento circa – la Porta di S. Cristoforo, con una torre che prospetta tuttora su Via Vinzoni, anche se non ha più il suo aspetto originale.

CASELLA

E’ un centro storico di fondovalle a forma poligonale posto a 106 metri s.l.m., poco visibile nel quadro panoramico d’insieme delle ville che attorniano Levanto, un tempo inserito nel terziere di Ponente.
L’antichità del nucleo è documentata da diverse notizie. La popolazione era di circa 75 abitanti nella prima metà del’500, 239 nel 1607 e 153 nel 1828.
Nato quasi certamente dal fosso omonimo, che ha azionato per secoli le giranti di due mulini già documentati nel’ 700 per grano, mais e castagne, l’abitato si è sviluppato a forma esagonale lungo l’antica strada mulattiera per la valle della Carbonetta, nella quale convergono le ripide viuzze che la intersecano.
L’unico spazio significativo all’interno dell’abitato è lo slargo sul quale prospettano la cappella di Santa Maria Maddalena ed alcuni edifici, tra cui si segnalano quello a destra della cappella, di costruzione ottocentesca, e quello a sinistra, settecentesco, con intonaco decorato con fasce marcapiano e riquadratura delle finestre.
Un'altra costruzione degna di interesse si trova a destra del ponte di collegamento con la strada veicolare che porta all’autostrada. Si tratta di uno dei mulini, costruito in parte sopra l’antico ponte che collegava Casella con la sponda sinistra del fosso omonimo. Un altro edificio rurale che presenta tutti gli elementi costruttivi (murature, aperture e struttura generale) settecenteschi è ubicato nella parte superiore del nucleo verso Nord-Ovest.
Cappella di San Giuseppe. Databile al XVII secolo, è documentata a partire dal 1671.
Con la facciata dipinta a tinta unica, il piccolo edificio sacro si affaccia sullo slargo acciottolato del nucleo. Nella parte superiore della facciata si trova un’apertura a quattro lobi e sul timpano il campanile a vela. Una finestrella a destra della porta di ingresso consente la veduta dell’interno, a pianta rettangolare e abside semiellittica. A sinistra della porta di ingresso, bell’acquasantiera seicentesca in marmo bianco di Carrara. In fondo, l’altare settecentesco decorato a stucchi , dietro al quale si trovano il piccolo coro ligneo ed una statua della Madonna con il Bambino, anch’essa in legno.
Tra fattore e Casella, sotto la via veicolare di collegamento con l’autostrada, si trova Villa Taddei, un bell’edificio dalle forme architettoniche tipicamente urbane, all’interno del quale c’è una piccola cappella privata.

DOSSO

Questo centro storico a forma poligonale si trova sulla testa di un promontorio a 237 metri s.l.m., nella parte occidentale della valle.
Molto probabilmente si è formato attorno ad un’antica via mulattiera (asse di sviluppo principale dell’insediamento) che da Levanto raggiungeva la Piana di San Gottardo, transitava per Fossato e, attraverso la Foce di Dosso, consentiva di raggiungere i centri della medio-alta Val di Vara.
Il percorso principale e quelli secondari si incontrano nella parte alta del nucleo ove sorge la cappella di San Giovanni Evangelista.
Il documento più antico giunto sino a noi circa le origini della villa, è del XIII secolo.
Nella prima metà del ‘500 Dosso aveva approssimativamente 70 abitanti. Nel 1607 questi ultimi aumentarono a 88 e, nel 1828, a 125.
Confrontando la planimetria odierna con quella fatta da Matteo Vinzoni nel 1722, se ne deduce che il numero di edifici è aumentato di poco in oltre due secoli e mezzo.
Tra le emergenze di Dosso si segnalano: un portale in conci di serpentinite verde locale lavorato a punta fine probabilmente del XIV secolo (notare la croce scalpellata a rilievo sulla pietra al centro dell’arco), tre edifici con resti di murature del XVI secolo, un edificio del XVIII secolo ridipinto recentemente seguendo probabilmente la decorazione preesistente (fascia marcapiano e incorniciatura delle aperture con ombreggiatura) ed uno più recente (XVIII-XIX sec.) con intonaco graffito, cantonali alterni e riquadratura delle finestre.
Cappella di San Giovanni Evangelista
Documentata verso la metà del’600, sorge nel piccolo slargo che si trova nella parte alta dell’abitato.
E’ ad aula rettangolare e a volta a botte, con il presbiterio che si restringe.
La facciata dipinta probabilmente riprendendo disegno e colori di quella seicentesca, ha quattro aperture: il portale, la lunetta sotto il timpano e due finestrelle laterali.
Tra il portale e la lunetta vi è murato un Presepe, pregevole bassorilievo su ardesia, attribuito a Pace Gaggini (1470-1525), la cui iconografia è da mettere in strettissimo rapporto con due opere similari conservate in sedi più prestigiose, il Victoria and Albert Museum di Londra e il Museo Sant’Agostino di Genova.
L’interno della cappella è molto semplice e, oltre alle decorazioni dipinte datate 1937, ci sono un altare barocco in muratura e due nicchie vuote tra l’aula e il presbiterio.

FATTORE

E’ un centro storico di fondo valle, anticamente incluso nel Terziere di Ponente, costituito da un gruppo di case sparse ubicate nella zona compresa tra la piana di San Gottardo e Casella.
Citato per la prima volta in un contratto stipulato a Genova nel 1280, nella prima metà del ‘500 aveva circa 75 abitanti, che restarono di numero pressoché invariato nel censimento del 1607 e salirono a 95 nel 1828.
Come tutti i nuclei di fondo valle, un tempo aveva diversi mulini, puntualmente rappresentati in un documento catastale del 1881. Nei primi decenni del XVII secolo è documentata a Fattore l’esistenza di una cappella privata, intitolata a S. Antonio da Padova, esistente tutt’oggi.

FOSSATO

E’ un centro storico di fondo valle, anticamente inserito nel Terziere di Ponente, edificato alla confluenza dei due torrenti, il Mulino ed il Fondo.
La prima notizia documentata su questa villa è del 1389.
Nella prima metà del ‘500 gli abitanti del nucleo erano circa 100; aumentarono a 146 nel 1607 e diminuirono a 56 nel 1834.
Dalla planimetria di Matteo Vinzoni del 1722, si evince che l’abitato era come l’attuale, ossia diviso in due dal ponte sul torrente Mulino.
La mulattiera che sale a Groppo costituisce l’asse generatore principale del nucleo, da cui si dipartono altri due antichi sentieri, uno per Lizza e l’altro per Lavaggiorosso.
Nella parte in alto del nucleo si trovano alcune tracce del passato databili al XVI secolo: un paio di muri ed un portale in ardesia finemente lavorato.
L’antico mulino è stato recentemente ristrutturato, compresa la girante di legno.
La cappella di S. Giacomo. Ubicata all’entrata del nucleo, le prime notizie dei documenti relativi ad essa risalgono alla fine del’500, periodo in cui era dedicata a S. Rocco.
Il sacro edificio, anch'esso recentemente restaurato, è simile, esternamente ed internamente, alla cappella di Groppo, fatta eccezione per alcune lievi differenze, come ad esempio la mancanza delle due finestrelle ai lati della porta d’ingresso.
Nell’interno, subito a destra dell’ingresso, si trova un'acquasantiera di marmo lunense, di buona fattura.
Nella zona presbiteriale, l’altare in muratura con un apprezzabile paliotto d’altare (XVIII-XIX secolo).

GHIARE

E’ un centro storico di fondo valle, un tempo incluso nel Terziere di Mezzo, costituito da vari raggruppamenti di case che si trovano alle pendici delle colline di Levanto, nella piana di origine alluvionale che da San Giorgio si addentra nell’interno.
D’antiche origini, l’importanza della villa è attestata dal fatto che nel 1389 Angelino de Lara faceva parte del Consiglio di Borgo e Valle. Gli abitanti di Giare sono triplicati per la prima metà del’500 ed il 1607, passando da circa 60 a 190, mentre nel 1828 erano 90.
Data la posizione dell’insediamento, nelle Ghiare funzionavano ancora alcuni decenni or sono diversi mulini. Uno di essi, di probabile origine seicentesca, è tuttora visibile in località Vignola.
A fianco della cappella di S. Matteo si trova un palazzo piuttosto interessante, con al piano terreno un ampio porticato (XVII-XVIII sec.) a due campate, ove un tempo funzionava un frantoio, le cui attrezzature sono tutt’oggi visibili all’esterno dello stabile.
La cappella delle Ghiare, intitolata a San Matteo, è probabilmente d’impianto cinquecentesco, anche se le prime notizie documentate sono del 1634. Indubbiamente nel XVII secolo subì sensibili trasformazioni, avvalorate anche dalla data incisa sulla campana esterna (1627). La pianta del sacro edificio è formata dalla navata rettangolare e dal presbiterio quadrato. La copertura a volta è quasi certamente frutto dei rifacimenti seicenteschi.
L’altare è del XVIII secolo.

LAVAGGIOROSSO

Il nucleo, di forma poligonale, inserito nel XVIII secolo nel Terziere di Ponente, è posto su una dorsale piuttosto ripida a 275 metri s.l.m..
Anticamente era attraversato dalla mulattiera che collegava Levanto con San Pietro Vara e Varese Ligure. Mentre mancano notizie documentate su questa villa anteriori al XIII secolo, le ricerche archeologiche svolte consentono di affermare che in questo secolo esisteva già.
Nella planimetria di Matteo Vinzoni del 1722 la superficie edificata di questo centro storico, che ha risentito nel tempo dell’instabilità del terreno su cui sorge, aveva all’incirca le dimensioni odierne.
Lavaggiorosso ha mantenuto fino ad oggi praticamente intatta la sua tipica struttura, caratterizzata da costruzioni addossate l’una all’altra, separate da stretti vicoli o unite da ampi tratti voltati.
Le testimonianze murarie del passato sono molteplici. Tra esse si segnalano, un edificio dell’inizio del XVI secolo con portali del XIV, un arco di portale in pietra verde scura locale del XIV secolo con metà dello stipite sinistro in arenaria, un tratto di muratura in pietra calcarea del XV- XVI sec. con portale in arenaria del XIV, un altro portale del XIII-XIV sec. ubicato nel tratto iniziale del lungo passaggio voltato ed un portale con stipiti di riutilizzo in ardesia finemente decorati del XVI secolo.
La parrocchiale di San Sebastiano. L’esistenza di una chiesa a Lavaggiorosso si fa comunemente risalire al XIII secolo, anche se la prima notizia documentata sulla parrocchiale è del 1584.
Del sacro edificio medievale si è persa ogni traccia. Probabilmente a causa dell’aumento della popolazione verificatosi tra il XVI ed il XVII secolo, venne abbandonato e fu sostituito dal tempio giunto sino a noi, edificato agli inizi del ‘600 in posizione isolata a ponente dell’abitato.
Fu ampliato con l’aggiunta dell’abside e del campanile nella seconda metà del ‘700 (si noti la datazione 1774 all’esterno dell’abside), mentre le ridipinture dell’edificio sono ottocentesche. Nell’interno, tutto in stile barocco, vi sono l’altare maggiore e quattro altari laterali. Purtroppo lo stato di conservazione attuale non consente al visitatore di apprezzarne compiutamente i pregi. Oltre al crocifisso ligneo sull’altare maggiore, opera di scuola genovese del Settecento, si possono vedere dipinti su tela, probabilmente più interessanti per l’aspetto devozionale che per il loro valore artistico.

LERICI

Centro storico già appartenente al Terziere di Mezzo, si trova su una collina a 133 metri s.l.m..
Un tempo era attraversato dalla mulattiera, tuttora esistente, che costituisce l’asse generatore dell’abitato a forma di borgo lineare. Tale via prosegue per Pastine Superiore ed oltre, fino a raggiungere la zona di Bardellone.
E’ citato per la prima volta nel 1222.
Gli abitanti di questa villa sono rimasti in numero pressoché invariato nei secoli, 50 nella prima metà del ‘500, 45 nel censimento del 1607 e 47 nel 1828.
L’insediamento è costituito da due gruppi di edifici saldati dalla piazzetta antistante la cappella di Sant’Antonio da Padova, posta in posizione pressochè baricentrica.
Tra gli edifici settecenteschi di maggior interesse se ne segnalano tre. Uno con il portale del prospetto principale costituito da stitpiti in grossi conci di pietra locale, un arco in mattoni a doppia ghiera e un piccolo acciottolato policromo a motivo ornamentale geometrico. Il secondo in muratura a vista con pietra da spacco a corsi sottili e bei cantonali. Il terzo, infine, di tipologia rurale come i precedenti, è il rudere di un mulino a girante, poco staccato dal nucleo, che sfruttava il corso d’acqua che scorre sotto l’abitato, il rio Lerici, opportunamente deviato.
Cappella di Sant’Antonio da Padova. Documentata dall’inizio del XVIII secolo, è preceduta da un minuscolo sagrato.
Ha caratteristiche tipologiche affini a molti altri edifici sacri della valle di Levanto, ma restauri e ristrutturazioni hanno modificato nel corso dei secoli le fabbriche originarie e pertanto è difficile definirne l’epoca della prima costruzione.
La facciata è relativamente recente, come il campanile cuspidato in mattoni. L’interno è caratterizzato da una volta a botte ribassata e dall’ampia nicchia sul fondo del presbiterio. Al centro di quest’ultimo, rialzato di un gradino rispetto al resto della chiesa, l’altare datato "1846-li-14-aprile".
Nella chiesa sono conservati tre dipinti, due su tavola di modeste dimensioni e qualità, la Madonna del Carmine e un Santo con Crocifisso, entrambe attribuite al XIX sec., ed uno su tela (XVIII sec.) in cui è raffigurata la Vergine col Bambino che appare a Sant’Antonio da Padova.

MONTALE

L’abitato è disteso sulla dorsale compresa tra le vallette di Vignana e Casella, a 150 metri s.l.m., in posizione centrale nella valle di Levanto.
La planimetria del centro storico è suddivisa in quattro nuclei: quelli mediani costituiscono quasi certamente la parte più antica, mentre i due estremi ne sono la prosecuzione. Al centro, la piazza sulla quale sorge la parrocchiale; in alto, la via principale si snoda tra due gruppi di case che proseguono verso Sorlana, la Madonna di Loreto e la Foce di Montale.
Il toponimo di Montale, comune a molti centri storici di tutt’Italia, compare per la prima volta in un atto notarile del 1259. Un altro documento comprovante l’antichità del toponimo è la partecipazione d’alcuni rappresentanti di Montale alla stesura degli atti di Levanto e alle aggiunte successive (1377-1482), statuti nei quali è inclusa tra le feste della comunità levantese quella di San Siro, a cui è intitolata la pieve.
Nella prima metà del’500 Montale aveva approssimativamente 294 abitanti, 330 nel 1607 e 317 nel 1834, comprese Sorlana e le case sparse di là da Monti.
Nel 1798, con la nascita della Repubblica Ligure, Montale è Capo Contone con giurisdizione sui luoghi di Chiesanuova, Ridarolo, Fontona, Lavaggiorosso e Legnaro.
Alla fine del '900 è stata svolta un’indagine archeologica che ha fornito i risultati che si riassumono. Questo insediamento esisteva già nel XIII secolo, come quasi tutte le altre ville della valle di Levanto. L’edificazione è proseguita in tutti i secoli dal XIV sino al XIX e in tre casi su dieci le costruzioni successive sono state realizzate su preesistenze tardo medioevali, oppure reimpiegando elementi costitutivi di tal epoca.

LA PIEVE DI SAN SIRO

Pur essendo ricordato in un documento dell’XI secolo, il tempio giunto sino a noi, dal quale anticamente dipendevano tutte le chiese e le cappelle degli attuali comuni di Levanto e Bonassola, non è archeologicamente databile a prima del XII secolo.
E’ peraltro doveroso precisare che, essendovi un documento del 1077 in cui è citata la pieve medesima, è ragionevole supporre che anteriormente alla fabbrica pervenuta sino ai giorni nostri ve ne fosse un’altra più antica, di dimensioni minori, che fu distrutta per edificare la nuova.
In epoca barocca il tempio fu notevolmente ampliato e modificato. Vennero abbattute le tre absidi originarie per prolungarlo e far posto al coro ed all’attuale presbiterio, fu completamente intonacato e il tetto ligneo venne occultato dalla volta tutta decorata con dipinti.
L’interno è pertanto frutto della radicale rimozione, effettuata negli anni Cinquanta del XX secolo, di quasi tutto ciò che era stato sovrapposto col passare del tempo alle strutture medioevali. I possenti pilastri, che originariamente erano quasi certamente intonacati e dipinti, mostrano adesso i conci di pietra locale coi quali furono costruiti.
Dedicata a San Siro Galileo, la pieve, a forma basilicale, è a tre navate relativamente strette.
Il materiale da costruzione dominante è la pietra calcarea locale in conci sovrapposti, che, particolarmente nelle colonne, sembra assumere una diversa colorazione nei vari momenti della giornata. Tale materiale, unitamente alla tipologia dell’architettura, danno all’interno della chiesa una maestosità non comune.
Entrando nel sacro edificio dalla porta d’ingresso principale, all’inizio della navata destra si trovano murati alcuni antichi reperti, tra cui un capitello di marmo lunense rozzamente scolpito a bassorilievo con trecce e rombi, ed una lunetta in ardesia sulla quale è raffigurata la Madonna con Gesù Bambino, tra i santi Giovanni Battista e Siro. Anche il capitello trovato casualmente nel corso del restauro attuato negli anni Cinquanta potrebbe provenire dalla pieve primitiva.
In fondo alla navata, sull’altare marmoreo settecentesco a destra del maggiore, una Madonna lignea dipinta della bottega dello scultore genovese A.M. Maragliano (XVII-XVIII sec.). Secondo la tradizione popolare, a cui molti montalesi sono assai legati, la statua sarebbe stata eseguita direttamente dal Maragliano. Rifacendosi a notizie avute dai loro avi, affermano che, dato che nello stesso periodo il grande scultore genovese ne realizzò anche un’altra per la parrocchiale di Sant’Andrea, le due statue furono trasportate all’approdo di Levanto per via mare con la medesima imbarcazione. I Levantesi scelsero quella di dimensioni maggiori, che era destinata alla pieve di San Siro e lasciarono a quest’ultima l’altra. A questo punto ebbero origine una serie di proteste da parte dei fedeli di Montale, che cessarono solo quando questi ultimi furono assicurati, dal Maragliano stesso, che la loro Madonna era stata eseguita direttamente da lui.
Nella profonda abside, il bel coro ligneo intagliato, scolpito e tornito, d’ebanisteria locale della prima metà del Settecento. Lo stile è d’epoca barocca, anche se permangono motivi d’ambito tardo cinquecenteschi.
Nel presbiterio, l’altare maggiore settecentesco in marmo, decorato da foglie d’acanto dorate, preceduto da una balaustrata. Anche il pulpito è d’epoca barocca, al pari dell’altare in fondo alla navata sinistra.
Nella pieve sono conservate due tele attribuite dagli storici dell’arte ad altrettanti prestigiosi maestri della grande scuola del barocco genovese: una Pietà con i Santi Michele Arcangelo e Rocco (cm. 180x130), datata 1620 e attribuita a Giochino Asseterò, ed una Madonna in trono con il Bambino e due Santi attribuita ad Orazio de Ferirai.
L’opera d’arte più preziosa conservata nella sacrestia di San Siro è un calice in argento sbalzato, cesellato e dorato, di un argentiere genovese della metà del Quattrocento.

LA TORRE

Si tratta di un manufatto del XII secolo, completamente edificato in pietra calcarea locale, sulla cui parte terminale si trova la cella campanaria, di più recente costruzione (secolo XIX). Alcuni sostengono che nel punto in cui sorge la torre, già in epoca preromana, vi fosse una fortificazione facente parte di un sistema di avvistamento difensivo che dalla Liguria orientale raggiungeva la bassa Valle Padana. Al di là di tali pur affascinanti congetture, la torre pervenuta fino a noi, di forma quadrangolare, con muri dello spessore di oltre un metro, è costruita quasi completamente con conci disposti in corsi paralleli.

L’ORATORIO DI SANTA CROCE

L’oratorio è occultato dalla pieve, salvo la facciata, e per questa ragione non ha sufficiente rilevanza nel contesto ambientale del centro storico di Montale, se non visto dall’alto. E’ ad aula rettangolare e comprende quattro campate.
L’epoca di costruzione del manufatto risale probabilmente all’inizio del XVI secolo. Nel sacro edificio è conservato uno strumento ligneo a percussione, chiamato in dialetto "batuèla", che sino a pochi decenni or sono veniva usato nel corso della Settimana Santa quando venivano legate le campane perché non potevano essere suonate in segno di lutto per la morte di Cristo.
Cappella di Santa Maria di Loreto, in località Sorlana. Si trova sul sentiero che da Montale sale fino alla foce omonima. E’ un semplice e piccolo edifico rettangolare, con abside semicircolare, sopraelevato di sei gradini rispetto al piano di campagna.
La cappella è preceduta da un portico rustico ligneo a due arcate, appoggiato alla facciata, si armonizza abbastanza bene con la chiesa e costituiva un buon riparo per i viandanti, essendo ubicata circa a metà distanza tra Montale e il Monte Piano, alle pendici del quale corre il sentiero di crinale.

RIDAROLO

Si trova al centro della valle di Levanto sull’estremità sud del crinale che, partendo da San Bartolomeo, separa la valle delle Ghiare da quella di Gallona, a 104 metri s.l.m..
Il centro storico è attraversato dall’antica mulattiera che da Levanto porta direttamente al Bardellone e quindi a Cassana (Comune di Borghetto) o a Casale (Comune di Pignone).
Anche se negli edifici civili odierni - quasi tutti ristrutturati - è difficile cogliere i segni del passato, questo nucleo esiste almeno dal XIII secolo, com’è provato da un contratto del 1226, nel quale è nominato Andriano de Riarorio da Levanto.
Nella prima metà del ’500 gli abitanti di Riarorio erano approssimativamente 60. Nel 1607 aumentarono a 105, mentre nel 1834 calarono a 86.
Un autorevole storico medievalista sostiene che l’antica Ceula sarebbe stata Ridarolo e non Montale. Ovviamente l’ipotesi è suffragata da dati seri, anche se non condivisi da molti.
Il nucleo lineare, che un tempo poteva all’occorrenza essere chiuso in tre punti tutt’oggi identificabili, è quasi completamente edificato in due schiere sul percorso interno, che all’uscita si biforca in due.
La parrocchiale, posta all’inizio dell’abitato, sembra quasi farne da capofila, dominando la prospettiva per chi guarda dal basso ed assumendo un ruolo principale nella veduta d’assieme del nucleo da qualsiasi punto lo si osservi. Prima della chiesa, a sinistra provenendo dalla strada comunale Levanto – Ridarolo, si trova una casa d’abitazione recentemente ristrutturata. Fino ai primi decenni del Novecento entro questa costruzione vi si trovava un frantoio. Era uno dei tanti che funzionavano nella valle di Levanto ed è indicato sulla planimetria fatta a scopi fiscali nel 1882. Nelle vicinanze dell’edificio giacciono sparsi i vari attrezzi dell’impianto, tra i quali due macine, una in marmo Rosso Levanto, l’altra in pietra arenaria locale. Prima della biforcazione all’uscita del paese si trova un edificio a tre piani, con tetto a quattro falde, di notevoli dimensioni rispetto a tutti gli altri, probabilmente la dimora del signore che in passato dominava in questa villa. Al piano terra funzionava in passato un frantoio, la macina del quale, in pietra arenaria locale, si può vedere tutt’oggi a fianco della strada che fiancheggia Ridarolo su lato nord.

LA PARROCCHIALE DI SAN GIOVANNI BATTISTA

L’analisi archeologica del sacro edificio consente di ipotizzarne tre fasi edificatorie. La prima, databile al XIV secolo, costituita dall’aula a sezione rettangolare, la seconda (XVI) con la quale fu ampliata con l’aggiunta dell’attuale presbiterio e la terza (XVIII) nel corso della quale venne costruita l’abside semicircolare per far posto al coro.
L'edificio è preceduto da un piccolo piazzale rialzato, che un tempo fungeva probabilmente da baluardo difensivo.
Sopra il portale d’ingresso, entro una nicchia si trova la statua marmorea di San Giovanni Battista (XVIII sec.).
Internamente il tempio è diviso in tre parti: la navata rettangolare, il presbiterio quadrato e l’abside semicircolare. A sinistra dell’ingresso si trova una fonte battesimale, in marmo lunense, a forma di coppa ottogonale, probabilmente di fabbricazione quattrocentesca.

VIGNANA

Già inclusa nel terziere di mezzo, è divisa in due nuclei, Vignana Soprana e Sottana.
La "villa" superiore sorge su una scoscesa ripa a 220 metri s.l.m., su una deviazione che si dirama dall’antica mulattiera che sale da Montale alla Foce omonima.
L’inferiore, a forma poligonale, localizzata lungo la testa di un promontorio a circa 190 metri s.l.m., è sorta sulla mulattiera che da Levanto passava per le Ghiare e saliva alla Costa Fusarino, ove si biforcava per Carrodano e Brugnato.
In due contratti rogati a Genova nel XIII secolo troviamo citati degli uomini di Vignana. Nella prima metà del ‘500 la villa aveva circa 150 abitanti, equamente divisi tra Soprana e Sottana, 249 nel 1607 e circa 200 nel 1828.
Visitando questo centro storico si possono cogliere alcuni segni del passato, come la porta a volta all’ingresso del nucleo inferiore e l’edificio allo stato di rudere in chiusura di quello superiore.
Nella parte superiore di Vignana Soprana si trova una casa, completamente ristrutturata recentemente, che secondo la tradizione orale sarebbe stata di proprietà dei genitori del famoso Michele Canzio, a cui Levanto ha dedicato una via.
Michele, artista di primo piano nella vita culturale genovese dell’Ottocento, fu pittore, scenografo e progettista dei più bei giardini costruiti a Genova nell’Ottocento.

CAPPELLA DI SAN BERNARDO

Citata per la prima volta in un atto del XIII secolo, si trova a Vignana Sottana ed è una semplice costruzione già fatiscente nel 1584, quando fu ispezionata dal visitatore apostolico.
Alcuni anni or sono, in occasione del rifacimento dell’intonaco, fu possibile leggere la data 1630 sull’intonaco più antico. Tale data troverebbe una conferma con quella incisa sull’unica campana (1632) montata sul piccolo campanile a vela che si trova in facciata. Ciò potrebbe dimostrare che, tra il XVII e il XVIII secolo, l’edificio fu completamente ricostruito.

VIA PARAXO

Sino all’inizio del XX secolo da questa breve strada si accedeva, tramite uno stretto vicolo (ancora visibile nel tratto iniziale che si diparte da Via Paraxo), direttamente all’oratorio di San Giacomo e quindi alla Madonna della Costa. Era senz’altro un percorso di origine medievale, che è stato cancellato col tempo.
In Via Paraxo. Oltre alla leggendaria casa di re Liutprando, si possono vedere tre grandi portali ad arco ribassato, in serpentinite verde locale, risalenti al XIII-XIVsecolo.
Quasi certamente costituiscono un’altra testimonianza delle strutture medievali asservite al porto. Resta il dubbio se in origine avessero una prosecuzione verso l’alto, nel quel caso si potrebbe ipotizzare l’esistenza di un grande magazzino con l’abitazione soprastante, oppure se l’altezza sia rimasta pressoché invariata. In quest’ultimo caso si tratterebbe solo di magazzini.

Pagina aggiornata il 26/06/2023

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